LE DONNE IN MAGNA GRECIA
In Grecia le donne potevano essere ripudiate
senza motivi validi, mentre potevano separasi dal coniuge solo se provavano di aver subito
maltrattamenti. Tuttavia, le donne separate, non erano viste di buon occhio dalla
comunità e di conseguenza una legge non scritta imponeva loro di non abbandonare il tetto
familiare per cui il lavoro di filatura era l'occupazione principale delle nobildonne
greche.
Le donne greche ricevevano un'educazione elementare, non erano libere e conducevano una
vita ritirata negli
appartamenti femminili (chiamati ginecei). Avevano il compito di occuparsi inizialmente
dell'educazione dei figli, i quali poi successivamente venivano affidati alle cure di un
precettore.
Il loro regno era la casa ed uscivano solo in rare occasioni, durante le feste cittadine e
le celebrazioni religiose (funerali, sposalizi, processioni) dove erano sempre
rigorosamente separate dagli uomini.
Si sposavano generalmente all'età di 15 anni ed era il padre a scegliere il marito,
generalmente trentenne. Si trattava di un
vero e proprio contratto; non si sposavano per amore, ma ciò non escludeva che questo
potesse nascere in seguito.
L'uomo greco dopo il matrimonio non modificava il suo stile di vita e continuava a
trascorrere gran parte della giornata fuori casa.
Nelle colonie della Magna Grecia le donne, rispetto a quelle della madrepatria, godevano
di una maggiore libertà e partecipavano più attivamente alla vita sociale. Tale
situazione si accentuerà soprattutto in età ellenistica.
Le donne più libere erano le cortigiane e quelle di umili condizioni, costrette a
lavorare per vivere e ad uscire spesso per svolgere mansioni in genere affidate ai servi,
come andare al mercato o attingere l'acqua nei pozzi.
Le stanze, sempre linde e arredate in modo semplice ed essenziale; il letto, che durante
il giorno veniva utilizzato come divano, era in legno con cinghie di cuoio dove era
adagiato il materasso. Vi erano sedie in legno pieghevoli (diphroi), rivestite di
morbide pelli e abbellite con cuscini. Appoggiato alla parete era un cassone, elemento
indispensabile dell'arredamento, dove venivano riposti gli abiti e gli oggetti di uso
quotidiano. Accanto ad esso vi era un bacile, sostenuto da una colonna su base incavata (luterion),
che veniva utilizzato per l'igiene della donna.
Su un tavolo in legno erano poggiati gli alabastroi, che contenevano unguenti e
profumi, e vasetti con terre bianche, caulino, argilla, alghe marine e licheni,
appositamente pesate su una bilancina per creare creme di bellezza e cosmetici.
Le donne intrecciavano i loro capelli sistemandoli in una ricca acconciatura, una specie
di chignon posto dietro la nuca, lasciando visibili alcune soffici ciocche. Il ventaglio e
l'ombrello erano accessori indispensabili che completavano la toilette femminile.
Le fanciulle portavano in dono alla divinità un cesto di fiori e frutta e un peplo. Tutto
questo per propiziarsi la divinità e chiederle di vegliare sul focolare domestico.
Inoltre offrivano i loro giocattoli: palla di cuoio, bambole in argilla, trottola e
nacchere - quest'ultima era un'invenzione di Archita Tarantino - doni che simboleggiavano
la fine dell'adolescenza e l'inizio della vita coniugale.
Dopo un bagno simbolico e il taglio dei capelli, aveva inizio la cerimonia del matrimonio.
Le famose tavolette di Locri illustravano il rito. Vi era raffigurato Hermes, presente
come guida nell'itinerario nuziale, poiché proteggeva i giovani nella fase delicata della
transizione dalla vita in famiglia alla vita coniugale.
Il matrimonio era la simulazione di un rapimento: la sposa velata lasciava la sua casa,
per trasferirsi nella dimora dello sposo in un carro trainato da muli. Apriva il corteo un
fanciullo e seguiva il carro una sacerdotessa. Davanti alla nuova casa attendeva la sposa
la nynpheutria; la fanciulla doveva simulare resistenza, e la madre la accompagnava
dal marito.
A inizio festa venivano offerti diversi tipi di dolci, si cantava e si ballava fino
all'alba.
Quando la casa era allietata dalla nascita di un bambino, sulla porta d'entrata venivano
posti o un ramoscello di ulivo, se era maschio, o una striscia di lana, se era femmina.
Il padre, però, poteva decidere di non allevare il figlio. Era infatti diritto dei
genitori esporlo, lasciarlo, cioè, sulla strada dentro una pignatta di terracotta.
In Magna Grecia questa triste situazione si verificava più raramente, poiché forte era
il senso della famiglia. A proteggere e difendere i diritti dei figliastri, degli orfani e
dei bambini poveri, vi erano le leggi di Caronda, magistrato di Reggio.
Le città della Magna Grecia hanno mantenuto, nei secoli, intatta la loro bellezza, la
loro tradizione e la loro ospitalià.