I BRONZI DI RIACE
Nella agosto
l972 un subacqueo dilettante si immerse nelle acque di Riace Marina sulla costa
Jonica calabrese: quello che vide a trecento metri dalla costa fu sicuramente una delle
scoperte archeologiche più entusiasmanti del secolo.
Ricoperta dalla sabbia intravide qualcosa che, ad un esame più attento, dimostrò essere
una statua di bronzo; poco distante individuò la presenza di un'altra statua.
Il recupero avvenne con una certa facilità, infatti le statue vennero legate a qualcosa
che somigliava a dei palloni contenenti aria compressa che sollevandosi trascinarono in
superficie le due statue bronzee.
Nasceva allora il problema del restauro delle opere: i due guerrieri, prigionieri dei
fondali marini per più di duemila anni, avevano bisogno infatti di molti e delicati
interventi di pulizia e di conservazione.
I primi "soccorsi" a quelli che da allora sono denominati "Bronzi di
Riace" avvennero presso il Museo Archeologico di Reggio Calabria. Un successivo intervento
di pulitura con mezzi meccanici, bisturi, martelletti ad aria compressa e speciali
utensili ad ultrasuoni, venne effettuato nel Centro di Restauro della Soprintendenza
Archeologica della Toscana. In tale sede si procedette anche alla pulitura parziale
dell'interno delle statue che presentavano ancora tracce di materiale di fusione e terra.
Un ultimo e accurato restauro è avvenuto presso il Museo Nazionale di Reggio Calabria,
dove si è potuto tracciare una mappa dei procedimenti utilizzati per fondere ed
assemblare le diverse parti che compongono le statue.
Il valore artistico dei Bronzi di Riace è inestimabili: si tratta delle maggiori opere in
bronzo di artisti greci a noi pervenute. Le due statue rappresentano figure maschili nude
di superba bellezza; sono alte circa due metri, hanno capelli e barba fluenti e in origine
si mostravano armati di lancia e di scudo.
Alle due statue si è dato la denominazione di Statua A per quella con la capigliatura
trattenuta da una fascia, mentre il guerriero con l'elmo è stato denominato Statua B.
gli studi svolti nei laboratori di restauro hanno rivelato che i Bronzi, per ottenere una
maggiore espressività coloristica, avevano in alcune parti del corpo intarsi ramati e
lamine d'argento.
Le immagine appaiono sublimate nella loro bellezza, tanto da far pensare non a figure
umane, ma a dei o eroi.
I Bronzi sono la testimonianza della grandezza e della raffinatezza a cui giunse l'arte
greca del V secolo a.C., l'epoca del grande Fidia, lo scultore dei fregi del Partenone.
Dovendo ricercare la paternità delle opere, da alcuni è stato fatto il nome dello stesso
Fidia, mentre altri critici la attribuiscono a Cresilia di Cidonia, allievo di Policleto,
o a Pitagora da Rhegion.
L'itinerario di Rhegion, delimitato dalla Costa Viola sul versante tirrenico
e dalla Costa del Gelsomini sul versante jonico, si presenta come ricco di vedute e scorci
panoramici.
L'occhio spazia fra le scogliere e le insenature fino al mare aperto, dove i traghetti
e i pescherecci solcano lo Stretto, abbracciando con la vista le coste della Sicilia e,
nelle giornate limpide i vulcani dell'Etna e dello Stromboli, fucine degli Dei.
Oltre alle coste reggine, la cui bellezza affonda le radici nel mistero stesso del
Mediterraneo, il territorio di Rhegion è coronato dal grandioso scenario dell'Aspromonte:
agli amanti della natura si consiglia di raggiungere il Parco Nazionale e da Gambarie
procedere all'ascesa della cima del Montalto.
Percorrendo la costa attraverso la S.S. 18, se si desidera entrare nei centri abitati
delle belle marine Costa Viola, si giunge alla rocca di Scilla, luogo omerico memore delle
improbe fatiche dei marinai e dell'impeto distruttivo delle mostruose Scilla e Cariddi.
Dopo la città di Reggio, volendo visitare i luoghi più significativi sulla costa jonica,
si percorre la S.S. 106 dove, raggiungendo Capo delle Armi, si scorge la rupe di
Pentedattilo, una roccia dalla cresta bizzarramente frastagliata, tanto da ricordare le
cinque dita di una mano.
Conclusa la visita alla suggestiva città abbandonata, è possibile inoltrarsi da Capo
Spartivento verso l'interno della zona grecanica di Bova: la maestosità dei luoghi, la
bellezza selvaggia del paesaggio, il fascino di una terra dove si parla una lingua simile
a quella di Omero, compenserà ampiamente della difficoltà che le strade presentano.